Quando si parla di intelligenza, la si associa spesso al concetto di quoziente intellettivo, cioè la misurazione delle capacità ( in termini numerici e quantitativi) logico-matematiche, verbali e spaziali di un soggetto.
Tale misurazione si è rivelata piuttosto limitata qualora sia utilizzata come indice per fare una previsione dei risultati che una persona può raggiungere nella vita sociale e professionale; si è osservato, che ad un quoziente intellettivo piuttosto elevato equivale, spesso, un risvolto particolarmente poco brillante nell’ambito socio lavorativo.
Recenti studi, in campo neurofisiologico, affermano che la maggior parte delle nostre scelte e decisioni non corrispondono ad un esame scrupoloso e razionale dei pro e dei contro relativi alle diverse alternative possibili.
In molti casi, infatti, le facoltà razionali vengono potenziate dal nostro “sistema emotivo” che ci permette di comprendere e di utilizzare al meglio i nostri vissuti interiori che ci indicherebbero la “soluzione”.
Quindi, si è sempre più portati a pensare, che la visione dell’ intelligenza espressa come un “distillato” di razionalità sia molto parziale. L’elemento razionale è solo un aspetto delle più ampie capacità e risorse che permettono all’uomo di confrontarsi con gli svariati contesti e problematiche che la vita presenta. In un certo qual modo si potrebbe affermare che l’intelligenza legata al Q.I. vede l’uomo in una dimensione di staticità, l’intelligenza emotiva, invece, apre una prospettiva dinamica e trasformativa.
H.Gardner (H.Gardner 1994) nella formulazione della sua teoria delle intelligenze multiple aveva già parlato di intelligenza emotiva chiamandola l’intelligenza personale che ha poi suddiviso in
– interpersonale
– intrapersonale
La prima indica la capacità di comprendere gli altri, i loro problemi, i loro atteggiamenti, la loro psicologia, i loro sentimenti.
La seconda individua l’attitudine a comprendere se stessi, di sapersi costruire un mondo interiore che offra stabilità e serenità emotiva.
Le persone che hanno questo tipo di intelligenza sono quelle che vengono definite ” persone sensibili”. Sono coloro che diventano facilmente leader naturali dei gruppi in cui si trovano ad agire.
Lo studio dell’intelligenza emotiva è stato ampliato e sviluppato da D. Goleman (D. Goleman 1995), il quale distingue due principali sottocategorie:
1. Le competenze personali: riferite alla capacità di “sentire” i molteplici aspetti della propria vita emozionale;
2. le competenze sociali: relative alla modo con cui comprendiamo gli altri e ci relazioniamo ad essi.
L’intelligenza emotiva personale
Implica innanzitutto la capacità di riconoscere le proprie emozioni dando loro un nome. Ciò facilita il formarsi di quella che viene chiamata “consapevolezza di sé”, che implica una sorta di auto monitoraggio delle proprie risorse interiori , delle proprie abilità e dei propri limiti. In questo modo sarà più facile “darsi un valore”. La consapevolezza di se facilita e promuove la propria progettualità, il proporsi con incisività (quando sarà richiesto), l’ evidenziare i propri punti di vista e i propri diritti.
Anche quello che viene chiamato autocontrollo fa parte delle competenze personali. Quest’ultimo implica la capacità di filtrare le proprie emozioni, ossia esprimerle in forme socialmente accettabili. Le persone che hanno delle difficoltà a gestire le emozioni personali, spesso manifestano forme di notevole aggressività, o al contrario, una esagerata chiusura nei confronti degli altri, offrendo un’immagine di sé poco equilibrata.
Il concetto di padronanza di sé potrebbe alludere ad una certa rigidità e rigorosità assoluta; in realtà implica innovazione e adattabilità, essere aperti a nuove idee, ricercare e valutare soluzioni originali, senza che il timore del fallimento abbia un effetto paralizzante. La padronanza di se comporta anche contattare i propri bisogni, riconoscerli e avviare o gestire il cambiamento.
L’intelligenza emotiva personale è profondamente collegata all’essere in grado di “mantenere alta la propria motivazione” anche di fronte agli imprevisti, o agli insuccessi.
L’intelligenza emotiva sociale
Essere empatici significa far risuonare dentro di sé i sentimenti degli altri senza dimenticare i propri, si sta vicino all’altro conservando i rispettivi confini. Si accolgono le emozioni altrui così come sono senza pregiudizio.
Il comportamento empatico non “giudica” il modo in cui il prossimo prova un’emozione, che è ben diverso dal concetto di assentire o dissentire i comportamenti dell’altro! L’empatia incoraggia anche l’autonomia, le abilità e il rispetto delle differenze individuali, etniche e ideologiche. La diversità, in un’ottica empatica è vista come una risorsa da utilizzare e non da sopprimere.
Il saper comunicare in modo efficace è un’altra attitudine relativa all’intelligenza sociale. Una buona capacità comunicativa comprende il saper trovare un livello armonico tra il contenuto del messaggio (le parole) e le proprie emozioni (espresse attraverso il linguaggio del corpo). Anche il saper ascoltare fa parte del comunicare in modo efficace, nello specifico si esprime cercando di entrare nel punto di vista del nostro interlocutore e comunque condividendo, per quello che è possibile, le sensazioni che esprime; da questa modalità è escluso il giudizio, ma anche il consiglio e il compito del “dover darsi da fare” per risolvere il problema.
Conclusioni
Fino a qualche decennio fa la cultura dominante poneva le emozioni in secondo piano di fronte alle attività della mente concernenti l’intelletto. Goleman, con il suo libro“Intelligenza emotiva”, ha dato finalmente “cittadinanza” alle emozioni. L’autore sostiene che bisognerebbe cominciare a vedere le emozioni stesse come intelligenti, in grado di captare informazioni piuttosto rilevanti.
Diventerebbe di grande importanza da parte delle le istituzioni sociali (dalla famiglia alla scuola, dalle strutture sanitarie all’industria) promuovere una “cultura”, in cui siano messe in risalto non solo competenze cognitive e tecniche, ma anche competenze emotive e relazionali.
L’intelligenza concernente il quoziente intellettivo si stabilizza verso i sedici anni, e comincia, poi, a scemare col passare degli anni. Al contrario, l’intelligenza emotiva si può apprendere e educare. Stimoli appropriati possono incoraggiare al riconoscimento delle emozioni proprie e altrui, a esprimerle e a rispettarle reciprocamente negli altri.
A cura della Dott.ssa Raffella Grassi
Bibliografia:
Gardner H; L’educazione delle intelligenze multiple, Anabasi, Milano, 1994
Goleman D; L’intelligenza emotiva Rizzoli, Milano 1995
ARTICOLI CORRELATI: